In occasione dell’open studio di ViaFarini, durante la art-week di Milano, ritorno a parlare del progetto “Attraversamenti a tempo determinato” sul quale sto lavorando e che potete vedere durante la visita nell’Archivio di ViaFarini alla Fabbrica del Vapore il 29 marzo.
I pedoni di fronte a un incrocio regolato da un semaforo stanno per affrontare una “prova” e una situazione densi di significato. A tutti noi capita più volte al giorno e, naturalmente, nella maggior parte dei casi, non ci soffermiamo a pensare alle implicazioni e a tutte le possibili questioni che pone questa azione, in apparenza semplice e abituale.
La consideriamo un avvenimento banale e comune, parte della nostra quotidianità, in realtà, ci pone di fronte a moltissimi spunti di riflessione, come ho avuto modo di scrivere negli articoli precedenti (“Attraversamenti a tempo determinato (ma igno ai più)-Presentazione” “Attraversamenti a tempo determinato – I” e “Attraversamenti a tempo determinato – II“).
Durante la residenza presso ViaFarini, di questi mesi cerco di individuare e sviluppare i differenti aspetti legati all’attraversamento a tempo determinato. Si tratta di una questione molto vasta e articolata e che offre uno straordinario campo di indagine: in sostanza, si prospetta un terreno di ricerca da indagare nel tempo.
Durante questo lavoro di “scavo”, ho progettato lavori molto diversi fra loro, destinati a essere sviluppati in futuro. Ci sono le sequenze di disegni dedicati a un singolo attraversamento pedonale in giorni e stagioni diversi (“Danze urbane a tempo determinato”) che provvisoriamente hanno preso la forma di un’installazione a parete.
In questo caso queste danze urbane, al di là del ritmo e della composizione, della musicalità dei movimenti ricordano e mettono in rilievo l’essenza coatta di queste coreografie, determinate e imposte dai tempi previsti dal semaforo, rappresentante l’autorità, regole, un certo grado di potere.
Sempre per rimanere sugli effetti più evidenti e immediati, più “facili” da individuare in un incrocio regolato da semafori pedonali, ho preparato una serie di videoinstallazioni che ho chiamato “Danza dell’attesa”. Sono videoclip con personaggi ripresi alle spalle, in campo bianco, mentre attendono il verde, pensate per essere viste contemporaneamente, o singolarmente.
I passaggi pedonali costituiscono anche il palcoscenico naturale che accoglie infinite storie, narrazioni sociali inesauribili. In “Ipotesi di storie da due minuti e mezzo”, esploro sia in una prospettiva sociologica, sia narrativa-teatrale come si muovono e quale caratterizzazione contraddistingue le persone impegnate sulle strisce, in differenti zone di Milano.
Ancora più in ambito narrativo, sto sviluppando un altro lavoro intitolato “archivio delle Storie possibili e degli incontri mancati”, pensato anche in relazione e in funzione del luogo della residenza, ovvero l’Archivio di ViaFarini. Si tratta di un’installazione comprendente una serie di disegni a matita e matita colorata su carta, riordinati in contenitori da archivio.
Sono una collezione di scatti fotografici tradotti e rielaborati graficamente (matita colorata e grafite) di persone impegnate in un attraversamento a tempo determinato, nel momento in cui si stanno per incontrare (storie possibili) e in cui si sono appena incontrate e oltrepassate, probabilmente per non rivedersi mai più (incontri mancati).
Accanto a questi lavori più direttamente legati alla presenza dei cittadini, ho pensato di affrontare in modo metaforico la situazione proposta dall’attraversamento a tempo determinato: ho elaborato in questo caso, al momento, sia videoproiezioni a terra, sia alcuni lavori da tavolo e da pavimento.
Per quanta riguarda le proiezioni a terra, al centro dell’attenzione ho posto il concetto di “corridoio umanitario”, come forma limite di attraversamento a tempo. L’idea mi è venuta prima che esplodesse il conflitto fra Russia e Ucraina e vi fosse la richiesta di creare “corridoi umanitari” per i profughi.
Vedere quindi questi lavori, adesso e, ancor più, nei giorni nei quali i giornali dedicavano titoli enormi dedicati ai corridoi umanitari, per me risulta particolarmente inquietante e anche in un certo senso imbarazzante.
I lavori destinati alla collocazione da tavolo e a pavimento sono tavolette raffiguranti, o evocanti, strade con strisce pedonali sui generis. Si tratta di rielaborazioni con scritte legate al concetto di attraversamento, di cammino, o di incrocio, in senso esistenziale e che sfruttano la duplicità di senso, specie in relazione a frasi idiomatiche, o a modi di dire.
Questi lavori sono lasciati alla libera iniziativa del fruitore, invitato ad interagire con l’opera, muovendo le strisce come meglio crede, con azioni di riposizionamento e risignificazione.
Ancora nel contesto della rielaborazione in senso metaforico dell’attraversamento a tempo determinato, ho preparato una serie di questionari inerenti il rapporto con il tempo, l’efficienza, la fretta e la percezione dei colori e la loro codificazione nella nostra società, da proporre ai visitatori-cittadini.
Sono cinque gruppi di domande dedicate alla relazione spazio-tempo, efficienza-esistenza, al rapporto con l’autorità, al modo di percepire e codificare i colori e a questioni esistenziali legati all’attesa
Infine, ho pensato a una installazione acustica realizzata con l’aiuto della collettività, per ricostruire una storia realmente accaduta, incentrata su una particolare forma di attraversamento a tempo determinato: quella di un perseguitato politico, in fuga attraverso l’Europa degli Stati assoluti e delle guerre di Successione del XVIII secolo.
Il personaggio protagonista di questa vicenda è Pietro Giannone, il primo giusnaturalista italiano, usato come merce di scambio dai Savoia, in particolare da Carlo Emanuele III e dal suo consigliere di Stato, il marchese di Ormea, durante la definizione di un nuovo Concordato con il papato nella prima metà del 1700.
In quest’ultimo caso, l’attraversamento e lo scambio di ruoli, la partecipazione personale, l’empatia sono stimolati durante le sedute di registrazione, dove avvengono le letture estemporanee dei visitatori.
L’insieme dei loro contributi può essere impiegato sia nella creazione di una narrazione spazializzata, sia alla costruzione di una pièce trasformata in una installazione acustica partecipata, dove i visitatori-partecipanti restituiscono vita alle parole dei personaggi, possono prendere parte a micro-laboratori di recitazione, a una forma di corso per “parlare in pubblico” e interpretare un ruolo.
Al contempo un modo per riflettere in prima persona sulla condizione di persona braccata, abbandonata in una prigione, dimenticata dagli uomini di potere che hanno usato il suo pensiero e i suoi lavori. I cittadini diventano attori, “invisibili”, ma ascoltabili, la loro presenza è affidata alle loro voci incise digitalmente.