Drammaturgia degli spazi

Quando nel 2005 ho scelto il termine “drammaturgie urbane” per indicare una parte del mio lavoro di ricerca, ero particolarmente concentrata a esplorare lo spazio urbano e ai suoi abitanti, in particolare quello della città dove risiedo, Milano.

Sonia Arienta: "Ipotesi di una storia da 2 minuti e mezzo". Installazione parte del progetto "Attraversamenti a tempo determinato". Residenza Archivio Viafarini. Milano
Sonia Arienta: “Ipotesi per una storia da 2 minuti e mezzo” Installazione. Tempera acquerellata su carta (misure diverse), stampa fotografica b/n, materiali d’archivio – progetto “Attraversamenti a tempo determinato”, elaborato durante la Residenza Archivio Viafarini, presso Fabbrica del Vapore. Milano

Adesso, come adesso, continuo a essere altrettanto interessata a occuparmi della dimensione urbana, tuttavia, sento necessario ampliare questo genere di attività, di estenderlo e applicarlo anche ad altre tipologie, situazioni, condizioni spaziali.

Per esempio, nell’ultimo anno, fra i nuovi progetti che ho sviluppato o che sto sviluppando, ce ne sono alcuni – almeno un paio che condividerò entro la fine dell’estate – pensati per un contesto geografico-territoriale completamente diverso dai precedenti.

In questa nuova progettazione alla “drammaturgia urbana”, o piuttosto a tutte le possibili varietà di “drammaturgie urbane”, elaborate su misura della realtà cittadina, affianco l’esplorazione di ambienti alpini e rurali. Posso parlare in questo caso di lavori di “drammaturgia montana”.

Sonia Arienta - in residenza presso NAHR, Valtaleggio. A cura di Gabi Scardi
June fellows 2022-presso Residenza artistica Nahr, Sottochiesa, Valtaleggio.

Perché scegliere di definire la drammaturgia con un aggettivo riferito all’ambiente?

Mi interessa richiamare l’attenzione sulle relazioni, sulle storie, sugli elementi che definiscono lo spazio nelle sue diverse declinazioni. In sostanza, l’aggettivo in questo caso determina il contesto ambientale e circoscrive il terreno d’azione, con le sue specificità sociali, territoriali, di tutti gli esseri viventi e inanimati che lo abitano.

Il protagonista di questi progetti, a livello di macrocategorie, è lo spazio abitato, nelle sue possibili declinazioni ambientali, dove i personaggi in azione possono essere animali (umani o altre specie), vegetali, o anche presenze inanimate.

Da questo punto di vista, posso ricorrere al concetto di “drammaturgia degli spazi” contenitore delle diverse sottocategorie comprendenti i differenti ambienti.

Sonia Arienta: "Archivio di storie possibili e incontri mancati", Installazione. Disegni a matita colorata su 14 fogli di carta (cm 25x35), contenitore per archivio.
Sonia Arienta: “Archivio di incontri possibili e storie mancate”, parte di “Attraversamenti a tempo determinato”. Installazione. Matite colorate e grafite su carta. Contenitore per archivi. Archivio Viafarini. Milano

La scelta di nominare, differenziare, la parola “drammaturgia” è dettata sia dall’esigenza di richiamare l’attenzione sulle caratteristiche geografiche, paesaggistiche e territoriali dello spazio in cui avvengono determinate situazioni, sia dalla volontà di indagare le relazioni specifiche fra generi molto diversi di abitanti e il luogo che li ospita.

Spazio come luogo di relazioni, determinate dalle sue stesse specificità.

In questo genere di lavori mi avvalgo di mezzi espressivi diversi, non ho un linguaggio preferenziale ed elettivo. Preferisco scegliere di volta in volta quello più adatto all’argomento della storia e al modo in cui desidero comunicarla.

Posso così usare indifferentemente testi, video, disegni, installazioni visive o, acustiche, foto.

Da questo punto di vista, la mia frequentazione dello spazio teatrale sia di prosa, sia lirico – luogo dove per eccellenza convivono linguaggi diversi – ha contribuito in modo significativo a rendermi poco legata a un mezzo specifico-preferenziale di espressione e a privilegiare piuttosto un personaggio, una situazione, o una storia da comunicare.

Nel campo delle arti figurative, si coltiva e si è coltivano atteggiamenti di sospetto nei confronti del teatro, inteso e percepito soprattutto come luogo di finzioni manierate-manieristiche, routine, elementi scenografati, a imitazione degli spazi “veri”, cartelloni basati per lo più su lavori di repertorio, eccesso di didascalismo, poco, o nullo approfondimento.

Si tratta di una questione molto antica, attorno alla quale si è scritto molto che magari riprenderò in un altro articolo.

Sonia Arienta in residenza presso Arcivio Viafarini
Sonia Arienta durante la residenza artistica presso Archivio Viafarini. Milano. Foto di Angelica Demaestri

Per il momento, mi limito a osservare che il teatro può essere molto altro, soprattutto se lo si consideri da una prospettiva concettuale, se lo si analizzi nelle componenti primarie, le si reinterpreti e le si applichi alla lettura della realtà.

In questo senso, ritengo che la drammaturgia degli spazi possa rappresentare un ottimo campo di ricerca e di sviluppo.

Può accogliere sia lavori di genere installativo, partecipativo, sia studi riguardanti vite, storie, relazioni, comportamenti dei più disparati personaggi, sia veri e propri drammi, ambientati in luoghi particolari, comunicati con sistemi e in situazioni totalmente diverse dal contesto abituale di fruizione teatrale.

L’impegno di questi progetti riguarda la proposta di lavori che esulino dalle sale e dalle convenzioni della rappresentazione tradizionalmente intesa, alla quale, dopo tutto, appartengono anche quei lavori di ricerca che si avvalgono di un edificio le cui caratteristiche sono state definite alcuni secoli fa e come tali appartengono a un’idea di spazio sfasato rispetto alla nostra contemporaneità.

Sonia Arienta durante la residenza in Archivio Viafarini, Milano
Sonia Arienta e Ribes durante la residenza artistica presso Archivio Viafarini. Milano. Foto di Rebecca Agnes

In particolare, accanto alle caratteristiche dello spazio, dei diversi ambienti, mi interessa esplorare il rapporto pubblico-attore, un rapporto troppo spesso concepito in modo sbilanciato, asimmetrico, segnato e inquinato in modo più o meno forte dal rapporto d’autorità.

Occuparsi di drammaturgia dal mio punto di vista – e sottolineo dal mio – significa spingersi al di là dei confini di un teatro all’italiana, o più in generale, di una sala pensata per fruitori seduti in poltrona, con lo sguardo fisso sugli attori indaffarati nella “scatola magica”, illuminata in un modo più o meno “suggestivo” ed “emozionante”.

Le riflessioni di B. Brecht attorno all’effetto di straniamento costituiscono uno degli apporti più importanti e vitali del XX secolo, dalle quali è possibile partire per ripensare il nostro rapporto con la realtà, non solo con il teatro.

Finché ci si muove e si pensano spettacoli in funzione di una sala teatrale, tuttavia, è difficile, se non impossibile, creare lavori che spingano i fruitori contemporanei ad affinare le proprie capacità critiche nella lettura del mondo.

In un momento storico dove è fondamentale coltivarle per contrastare l’inquinamento, la manipolazione del pensiero, sempre più pesante e diffuso, occorre che le persone si “approprino” in modo del tutto diverso degli spazi che vivono nella quotidianità.

Ciò può avvenire anche attraverso la partecipazione a lavori nei quali si parte da un’idea diversa di teatralità. Ovvero da un nuovo modo di guardare, ovvero di relazionarsi con il concetto di punto di vista.

Sonia Arienta durante la residenza in Archivio Viafarini, Milano
Sonia Arienta durante la residenza artistica presso Archivio Viafarini. Milano. Foto di Rebecca Agnes

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