UN PROGETTO DI DRAMMATURGIA MONTANA
Con il progetto Nidi. Fluidi presentato al Festival Stazione di Topolò – Postaja Topolove – nella frazione omonima di Grimacco (Udine), vicino al confine con la Slovenia – inauguro un percorso di drammaturgia montana partecipata, durante il quale lavorerò su diversi concetti e in zone diverse delle Alpi. Considero questa tappa un esperimento preliminare. Il lavoro si articola in varie parti: le interviste agli abitanti (permanenti e semipermanenti), la redazione delle schede, la loro raccolta, la restituzione del materiale in una serie di installazioni e un piccolo libro (scaricabile in formato pdf) con le storie raccolte, incentrate su protagonisti non umani. Nidi. Fluidi è un lavoro sull’affettività riservata a luoghi “difficili” da abitare, sull’immaginario recondito custodito dagli abitanti (con o senza vie di fuga, a seconda dei casi), sulla spontaneità/mediazione del legame con il territorio, sull’attenzione mostrata dalle persone verso tutti gli altri abitanti non umani del luogo. Inizialmente pensavo di incentrare l’attenzione soprattutto sul rapporto affettivo fra i residenti di zone particolarmente “decentrate”, lontane, “scomode” da raggiungere, dove a volte gli stessi mezzi pubblici sono assenti e i loro luoghi. Penso a paesi, dove chi non ha la patente di guida, o non la può più usare, è tagliato fuori dal mondo, perde la sua indipendenza ed è costretto a mendicare passaggi ad amici e parenti. In questi contesti diventa impossibile raggiungere negozi per approvigionamenti di beni primari (cibo, farmaci), sia a causa di strade senza protezioni per i pedoni e auto a velocità sostenuta, sia per impedimenti personali (impossibilità di deambulare per ore). In questo contesto la prima domanda che mi è venuta da pormi è stata: “Quali sono i motivi per i quali alcune persone restano ad abitare in questi luoghi? (per quanto lo spopolamento sia un problema evidente). All’esplorazione dei legami affettivi verso un luogo “difficile” e del senso di appartenenza a una piccola comunità, si sono aggiunte altre idee. In particolare, la ricerca di possibili contraddizioni nell’immaginario degli abitanti, rispetto ai luoghi che abitano, o alla concezione di abitazione, legami con la propria casa e con le proprie tradizioni. Accanto alla tutela e al rispetto delle proprie origini, si può nascondere altro. L’idea di nido, può rimandare anche a un ripiegamento interiore, alla creazione di un microcosmo asfittico, a seconda del contesto. In sostanza, il nido può diventare una gabbia. Il rifugio montano può essere concepito come allontanamento dalla socialità, dalla socializzazione, dal confronto con gli altri, dalla capacità di mettersi in gioco/discussione; può essere una scelta “estetica”, dove l’idealizzazione della montagna spinge a interpretarla come luogo in cui vivere in modo “spontaneo”. Un contatto con la natura immediato solo in via teorica.
Questi ultimi punti critici emergono non appena ci si fermi a riflettere come in molti casi gli abitanti siano costretti a usare le auto molto più dei “cittadini” e per tempi assai più lunghi, per poter raggiungere i luoghi di lavoro, o per approvigionarsi.
A ben guardare, in molti casi è difficile reperire sul luogo cibi di qualità, se non si dispone di un orto personale, o se nei pressi sono assenti aziende agricole biologiche.
Sovente mancano negozi di generi alimentari e quando ci sono purtroppo nella maggior parte dei casi vendono alimenti industriali anziché prodotti locali provenienti da colture e allevamenti condotti in modo sostenibile, etico e biologico/biodinamico.
In questa prima tappa, il progetto è stato pensato e costruito per la Stazione di Topolò -Postaja Topolove, ovvero per un’area dove oltre alla “scomodità” legata alla lontananza da negozi e approvigionamenti, si somma un altro genere di difficoltà/criticità.
Sul comune di Grimacco e le sue frazioni, infatti, aleggiano i ricordi, o le rimozioni, legati al periodo della guerra fredda, quando questi territori erano zona militare e di conseguenza sottoposti a una serie di divieti, restrizioni, censure, attività di spionaggio e controspionaggio.
Nel mese di maggio, durante la residenza artistica di circa un mese ho distribuito agli abitanti una serie di schede contenenti sette domande e qualche semplice richiesta:
- Indicare quale sia il luogo preferito nei dintorni del loro comune e inviarmi una foto del medesimo. Oppure darmi indicazioni per effettuare io stessa una ripresa.
- Descrivere in modo fotografico il luogo preferito della loro abitazione
- Consigliare un luogo da visitare del territorio, a chi viene da fuori
- . Pensare a un posto nel quale trasferirsi temporaneamente
- Immaginare un luogo dove trasferirsi in modo definitivo, nel caso fossero costretti a lasciare il Comune di residenza.
- Scrivere una parola o una frase che associano d’istinto al paese in cui abitano
- Raccontare una storia con un protagonista non umano, significativa e legata al luogo.
Le risposte a queste domande hanno costituito il punto di partenza per creare il progetto di drammaturgia partecipata, un dialogo aperto con gli abitanti che ho contattato personalmente, giorno dopo giorno e con i quali in alcuni casi si è instaurato un rapporto molto amichevole.
In altri la diffidenza iniziale si è sciolta a poco a poco, in altri ancora ho preferito evitare forzature e non ho insistito nella ricerca di risposte.
I dati che ho raccolto dalle schede sono confluiti in una serie di installazioni, sebbene possano essere usati anche come veri e propri indicatori del modo con cui gli abitanti si rapportano con il luogo abitato e si relazionano con il mondo.