Intervista RadioSvizzeraItaliana in occasione di ENOCH ARDEN – LuganoFestival-Martha Argerich Project –
Teatro Stabile di Genova giugno 2004
CORRIERE MERCANTILE – 10-6-2004
IL SECOLO XIX – 10-6-2004
www.dramma.it recensione di Maria Dolores Pesce
E’ ormai divenuta una bella tradizione per il Teatro Stabile di Genova, soprattutto per merito del suo Direttore Carlo Repetti che lo ideò nel 1996, l’annuale appuntamento con testi della drammaturgia contemporanea italiana e straniera, in prevalenza di giovani autori, nella forma di Mises en espace affidate a autori e registi anch’essi giovani o giovanissimi. Quest’anno ha inaugurato il ciclo delle rappresentazioni, dedicate ai teatri italiano, spagnolo e, ancora una volta, irlandese, ciascuna delle quali in scena per circa una settimana, una autrice italiana, Sonia Arienta (anno di nascita 1970) con il suo Strade/Corridoi, che rappresenta il suo esordio con un testo esclusivamente teatrale. In scena quattro giovanissime attrici, dirette da Riccardo Bellandi: Roberta Androni, Eva Cambiale, Sara Cianfruglia, Viviana Mattei. Un concerto di donne, donne sfortunate si sarebbe detto una volta, e dei loro vissuti tragici e non più riscattabili. È un concerto corale (l’autrice tra l’altro, stando alla presentazione “coltiva interessi saggistici in ambito di sociologia musicale”) dal quale però emerge, a tratti, la soggettività di ogni singola protagonista, della sua specifica e singolare storia, del suo vissuto, attraverso il racconto frammentato e frammentario di drammi, anche questo si sarebbe detto un tempo volentieri, di ordinaria follia. Ecco quindi che, senza che mai vengano veramente definiti i luoghi di quella storia o i luoghi di questo racconto, percepiamo cause e origini di esiti manicomiali o di prostituzione, ma ancor più, proprio per quella sorta di mancata definizione che fa emergere quasi ed intuire una sorta di struttura metafisica degli eventi sociali e personali, il feroce condizionamento di paradigmi sociali ferrei e di archetipi psicologici ineludibili, da cui discendono le nostre maschere e i nostri percorsi/gabbie esistenziali, in cui ogni pulsione è ribaltata in comportamento alienato, all’interno del quale emarginato è contro emarginato. Incapace dunque di uno sguardo che possa andare oltre la sua situazione di vita, così da mostrargli i veri vincoli e i veri limiti di una condizione incolpevole, è costretto a recitare un ruolo pre-definito senza possibilità di una coscienza/conoscenza che offra una via di uscita. Si sviluppa così una parabola della sofferenza in un mondo, che emerge a tratti ma di cui non sfugge una tragica continuità e coerenza, continuità e coerenza che l’autrice impedisce abilmente di ascrivere al mondo della così detta emarginazione, ma che viene allargato a paradigma della intera società, per le responsabilità da attribuire ad un sistema che coinvolge tutti, e tutti i ruoli precostituiti e preconfezionati (la famiglia, le istituzioni, l’uomo, la donna) e che scarica le proprie contraddizioni e frustrazioni nel mondo sotterraneo della emarginazione che, con il suo sacrificio, sembra consentirci una sorta di auto-assoluzione. Una pièce, così come piace a noi, che ci invita dunque a riflettere laddove nella nostra contemporaneità tutto sembra spinto alla passivizzazione, in modo da evitare, per quanto possibile, lo sviluppo delle capacità critiche di ognuno di noi, perché il rischio è quello di una condanna e di una ribellione che non abbandoni al loro destino chi, come quelle donne in scena, sconta interamente una colpa e una condanna che invece, sembra dirci l’autrice, tutti ci riguarda. Un’ultima annotazione relativa alla recitazione. Più spesso si vorrebbero vedere sulle scene attori con questa freschezza e questa spontaneità, corpo e voci prestati a un testo e alla sua comprensione e non esclusivamente preoccupati dalla dizione o dal manierismo, spesso espressione di un inerte mestierato di scena.
KHORE (la luna di miele di Arianna)
Teatro Greco-Milano – gennaio 2006
REPUBBLICA
Visto per voi/ La luna di miele di Arianna: un mito senza tempo
Perdersi in alto mare, su un’isola deserta. Sbalzati da un gommone su cui si è saliti per amore. E cominciare a vivere un incubo nell’incubo dal quale l’unico modo per uscire è la morte. Su un’isola-non isola, nel buio spoglio del sogno, dove il sogno diventa doppio come un gioco di specchi, si muove “Khore (la luna di miele di Arianna)”, opera scritta e diretta da Sonia Arienta, e interpretata da Annamaria Rossano, cresciuta alla scuola del grande Giorgio Strehler.Organizzata dall’Associazione Culturale Duepuntiapertevirgolette, è un monologo a più voci di un’ora e mezza nel quale Khore rivive attualizzata nel XXI secolo: parla un linguaggio a metà tra greco, inglese, italiano e dialetto calabrese. “Ho scelto di usare il calabrese – spiega ad Affari la Arienta – perché l’ho trovato molto utile per mantenere il rapporto, il legame con la Magna Grecia del mito”. E si vede: Khore emerge da un sonno agitato in cui ricorda l’hotel in cui era in luna di miele con il suo Cardia, che l’ha tratta dall’hotel di suo padre, Minosse. Claustrofobicamente, Khore – tra lampi di luce e buio completo – si muove su un palcoscenico spoglio tra check-in aeroportuali senza documenti, salti nel vuoto, baratri in cui viene risucchiata come in un incubo parallelo intercomunicante: si passa dalla storia con Cardia – ormai fuggito e di cui lei non ha più memoria – alla vita sull’isola, dove ormai Khore vive sull’orlo della pazzia, tra una bottiglia d’acqua, piatti di plastica e poco altro.
Khore sembra impazzire, e la sua voce dal buio rimbalza nelle coscienze, quasi come un brivido; riesce a trasportare con sé lo spettatore, specialmente se si comprendono i termini dialettali. È sanguigna, lancia sentenze (anatemi) nella solitudine più totale, odia suo padre Minosse che definisce un cappizzùni (capoccione, personaggio a anche vagamente mafioso), ormai paranoica. E recita al vento, al mare, ai rovi dell’isola su cui è finita, dove cunta (racconta) il suo cuntu (racconto). Che alla fine, inesorabile, inghiottirà anche lei nel buio, illuminato solo dal bagliore dell’incendio finale.
Fuori dal tempo eppure nel tempo, moderna e al tempo stesso millenaria mentre racconta di case con corone di peperoncini a mo’ di amuleti come si usava in Calabria decenni fa, Khore soccombe ad un Fato indifferente. Non ci sarà per lei una nave o il ritorno di Cardia. Come altre Arianna innominate sembrano non avere anche oggi, su altre spiagge disperate.
Antonino D’Anna
HOME