Vuoti d’erba – Un percorso drammatico in 4 Atti/Azioni è un lavoro iniziato durante la residenza artistica come June Fellow presso Nahr.
E’ costituito da alcune installazioni, attraverso le quali il pubblico interagisce con me, in una serie di azioni. Il sottotitolo infatti rivela questa concezione “attiva” e partecipata del visitatore. La parola Atto, infatti, rimanda sia alla ripartizione di un lavoro teatrale, sia all’agire.
Quando penso al consumo del suolo lo faccio in duplice modo: in senso letterale e in senso metaforico. In senso letterale il consumo del suolo riguarda l’atto in sé e le conseguenze reversibili e irreversibili che esso comporta. In senso metaforico, esso implica i cambiamenti e le minacce nascoste a una porzione di spazio legata alle nostre radici e al nostro stesso sostegno/base di appoggio: stare in piedi, avere i piedi per terra e al radicamento.
Il progetto si propone di stimolare domande attorno al concetto di “tutela” e di “consumo” del suolo in rapporto alla società, alla cultura in un dato momento storico, attraverso esempi simbolici.
Il Primo Atto (“Dove sono le capre”) è un prologo di carattere storico, incentrato sull’evoluzione del concetto di “consumo del suolo” nel tempo, del tutto instabile e assai poco “oggettivo”.
Al contrario, esso si evolve nel tempo ed è influenzato soprattutto da fattori economici, dal piccoli gruppi privilegiati detentori del potere economico in quel momento, in una zona, in un dato territorio. Questi gruppi sono desiderosi di tutelare esclusivamente i propri interessi economici che, di rado, coincidono con il bene pubblico.
Nell’esempio che ho scelto, la capra dalla fine del XVIII secolo e in particolare in epoca napoleonica e durante il fascismo, diventa un “capro espiatorio”, a causa di interessi economici, contrapposta agli animali “buoni”, perché più redditizi: gli ovini (per la produzione di lana) e i bovini (per la produzione di carne, latte, formaggio), in realtà costituiscono un ostacolo per lo sviluppo dell’attività mineraria e del legname sulle quali si desidera puntare, perché molto più redditizie.
La Valtaleggio è rappresentativa della “sostituzione” a fini economici di una specie con l’altra. In questi ultimi vent’anni, tuttavia, agronomi e studiosi della biodiversità ritengono le capre utili per la cura dei pascoli e del suolo nell’arco alpino. Da reiette a “Protettrici” del suolo, anche le capre orobiche godono ora di attenzione.
Da una ventina d’anni, ormai, le capre sono considerate dagli studiosi del settore paesaggistico e del territorio vere e proprie protettrici del suolo nell’arco alpino, e dal punto di vista nutrizionale è ormai assodato che il latte caprino sia molto più digeribile e abbia una quantità inferiore di colesterolo di quello vaccino.
PROLOGO (ATTO PRIMO) – DOVE SONO LE CAPRE?
Il prologo è incentrato sulle capre protettrici, trasformate in santi protettori (su questi animali vorrei tornare con altri progetti specifici) a dispetto di tutti i loro denigratori.
Ho infatti scelto dieci capre tipiche dell’arco alpino e ho realizzato i loro ritratti a tempera, inquadrati da cornici disegnate in oro, pizzo, collages floreali così da rievocare le piccole immagini dei santi (i cosiddetti “santini”) usati per scopi devozionali e distribuiti come segnalibri e ricordi, inviti alla preghiera molto in auge fino alla prima metà del XX secolo.
Questi dieci ritratti sono appesi a fili per stendere i panni, così da costituire una serie di siparietti a diverse profondità. Da essi sono stati ottenuti piccole cartoline che il pubblico può portare a casa, nel formato tascabile tipico dei santini, appunto.
Nelle restanti tre parti del progetto i visitatori interagiscono con me, sono chiamati a compiere azioni servendosi dei disegni e delle installazioni in mostra.
Ho pensato che fosse importante ricreare in modo controllato, regolato e consapevole un’azione che rimandasse e rievocasse l’atto di distruggere porzioni di territorio. Ovvero di cancellare qualche cosa di unico, o quanto meno, un risultato ottenuto nel tempo e con fatica dalla natura.
Il consumo del suolo e la distruzione di un disegno hanno una qualche affinità. L’idea è quella di distruggere in modo “controllato” qualche ora di lavoro e di creatività, un piccolo prodotto irripetibile, che in qualche modo rievochi l’irripetibilità vera della situazione naturale quando viene distrutto in modo irreversibile…
SECONDO ATTO – CHEQUES EXCHANGE
Ho incentrato il secondo Atto/Azione – intitolato Cheques Exchange – sul concetto di scambio. Uno scambio asimmetrico. Il visitatore può scegliere fra uno dei disegni che compongono quattro distinti blocchetti, come quelli degli appunti.
Rappresentano quattro tipologie di suolo diverse: orti, giardini, boschi e prati, pascoli. Una volta scelto un disegno chiedo alla persona di farlo a piccoli pezzi e a mettere i pezzi in un piatto fondo bianco.
In cambio può scegliere se portare con sé una fotocopia in bianco e nero di un disegno rappresentante un parcheggio, un deposito di merci, un appartamento, uno svincolo autostradale, o un rametto vero, incenerito durante un vero incendio doloso sul monte Zuccone, avvenuto lo scorso inverno in Valtaleggio.
In sostanza lo scambio consiste nella distruzione di un disegno che evoca un terreno permeabile, naturale o modificato dalla mano umana, in cambio di qualche cosa di grigio, inerte, morto. Una volta raccolti nel piatto I frammenti saranno in seguito trasferiti in una teca di vetro.
Solo una piccola parte del disegno resta integra, come le matrici degli assegni. Ogni foglio è infatti staccabile sul lato più corto, vicino alla rilegatura. Traccia della sua presenza prima della distruzione.
TERZO ATTO/AZIONE – Che cosa c’è sotto?
Lavorare a un progetto incentrato sul suolo comporta considerare anche le caratteristiche costitutive più rilevanti del medesimo, per esempio la “stratificazione” di cui è composto, ovvero i livelli che si sovrappongono sotto ai nostri piedi.
Questa parte del percorso, rappresentata da un’installazione multistrato poggiata su una base di sale da cucina, è incentrata sull’azione dello Strappare, lacerare e del raccogliere. Il pubblico è infatti invitato a portare a casa un pezzo di “suolo” simbolico da ciascuno degli strati (eccetto la base di sale).
In questo contesto, grande valore ha la presenza delle radici che costituiscono una fitta rete di relazioni e di sostegni, ancora una volta, reali e metaforici (come testimoniano le frasi “Essere radicati”, “avere i piedi per terra”). Oltre a chiedersi di che cosa ci nutriremo, ci si potrebbe quindi domandare, dove poggeranno i piedi se il suolo sarà consumato…
L’Installazione multistrato è composta da tipi differenti di carta della misura di 2mx1m, misura corrispondente al consumo del suolo in Italia al secondo, appoggiata su uno strato di sale da cucina.
Ho adoperato per ciascun livello un differente trattamento tecnico.
Il primo strato, quello che fa da base all’installazione e che sarà scoperto solo alla fine della fruizione di questa installazione il cui destino sarà quello di essere smembrato e di sparire nelle case dei diversi partecipanti, è costituito da due metri quadri di sale da cucina. Il secondo strato rappresenta le radici ed è costituito da un sistema ad incastro di piccoli quadrati in carta da pacco marrone di dieci cm di lato.
Il terzo livello è costituito da un grande foglio di carta di due metri per uno dipinta a tempera con uno sfondo verde che rimanda all’idea di “prato”. Il quarto è costituito da carta da lucido sul quale è disegnata la mappa catastale del piccolo villaggio di Fraggio, una delle frazioni di Sottochiesa, sede di pascoli.
L’ultimo strato infine, e il primo che incontra il visitatore, è composto da fogli e cartoncini di varie misure, dipinti con diverse sfumature di verde, appoggiati in ordine sparso e sovrapposti fra loro a formare una coperta posta sugli strati sottostanti. Allude alla grande foresta che ricopriva la pianura padana prima degli interventi dell’uomo.
Il sale da cucina, una volta che i visitaori porteranno con sé i quattro strati di carta, sarà tutto ciò che rimarrà al termine della fruizione di quest’opera: una completa sterilizzazione del suolo.
I visitatori hanno la possibilità di scegliere come impiegare i diversi “pezzi” raccolti. Possono ricomporli in un collage e appenderlo alla parete, oppure conservarlo riposto da qualche parte della casa, o infine, metterlo al macero. Ogni singolo elemento è firmato così che abbia un riconoscimento formale che gli assegna un’identità.
QUARTO ATTO – PUZZLE PUBBLICO
Le prime tre parti del progetto rappresentano la parte critica, distruttiva, provocatoria e come tale necessita una conclusione “ricostruttiva”, riparatrice, a chiusura del percorso. Ho pensato di creare un’installazione frutto di un lavoro partecipato, creato con l’aiuto di alcune persone del posto, eseguito a maglia. Questa installazione è composta da una serie di piccoli riquadri di dieci centimetri per lato, realizzati con filati di diversa composizione.
I colori scelti sono quelli di un prato, dal verde acido al beige, al giallo, al verde scuro. A questi quadrati, ne ho aggiunti altri realizzati da me con un filo di fortuna trovato sul posto, quello bianco per gli arrosti, intrecciato con erbe e fiori del luogo, raccolti in luoghi e altezze diverse, dal centro del paese ai pascoli.
Anche in questo caso le misure rimandano ai dati raccolti relativi alla riabilitazione “liberazione/ripristino”, dei suoli impermeabilizzati: un metro e ottanta centimetri.
A differenza delle installazioni degli Atti precedenti, la forma di questa è variabile e instabile, determinata dai visitatori stessi, invitati di cambiare disposizione se lo desiderano.
Inoltre è loro richiesto di compilare un biglietto/questionario e lasciarlo appuntato con uno spillo su un quadrato a loro scelta, così da ricoprire in parte il manufatto con una pacciamatura di biglietti.