A L’Aquila un piccolo branco di cani randagi, subito dopo il terremoto, è stato adottato dalla cittadinanza, nutrito e in seguito alloggiato in cucce di legno dentro a un parco pubblico. Uno di loro, Pluto Ju Cane accompagnava tutte le cerimonie e le inaugurazioni, le manifestazioni, gli arrivi delle autorità nei mesi e negli anni a ridosso della catastrofe.
Ho percepito queste notizie come una storia di forte valore simbolico e metaforico.
In un momento di grave difficoltà i cittadini si sono occupati di proteggere qualcuno che era ancora più indifeso di loro: i cani che in molti casi avevano perso il loro umano di riferimento.
Mi hanno molto colpito la proiezione del disagio delle persone sugli animali; il desiderio di accudire i cani, di dare loro casette solide e definitive proprio mentre gli abitanti della città aveano case inagibili, distrutte e con la promessa delle famose “casette” in legno (come aiuto in vista delle elezioni), soluzione molto provvisoria e che non tutelava dal pericolo di sradicare i cittadini dal territorio. Perciò l’associazione casette-cucce è stata una delle prime che mi è venuta in mente.
Mi ha spinta a occuparmi della questione, la probabile identificazione, o la proiezione mentale delle persone in difficoltà sui cani randagi.Così, i randagi sono diventati personaggi. Cani e umani al tempo stesso. La loro identità canina si scopre solo dopo che l’azione è in pieno sviluppo ed esclude costumi animaleschi nella realizzazione scenica. Piuttosto, gli attori sono tenuti a interpretare i ruoli con costumi da randagi umani.
Il branco si muove in modo autonomo, su due dimensioni a seconda dei diversi caratteri dei personaggi. Da una parte ci sono le tensioni, le dinamiche di potere dentro al branco, dall’altra il desiderio di entrare in contatto con gli umani, frequentarli, per sentirsi “integrati” e accettati, per collaborare, aiutarli, o per essere salvati e nutriti, sebbene questi atteggiamenti convivano con diffidenza, desiderio di indipendenza, rancore.
Ogni cane poi naturalmente ha una propria personalità e le proprie contraddizioni.
(…)
Entra Jucane seguito da Morgana.
JUCANE (a Nerone) Spostati un poco in là…
NERONE di qui non mi muovo, è chiaro sì?
JUCANE questo è il posto mio, vattene più in là, Nero’
NERONE qui ci stavo io
JUCANE via, ho detto. Subbito. Quessa è zona mè[1]
NERONE ‘ssa zona è pure mia.
JUCANE se non te ne vai subbito…mmo’ vedi che te faccio…
GIGGI-NO ne parliamo dopo. Ce ne andiamo a fare un giretto…Nero’, due metri più su o più giù che te fa? Abbassa la coda… abbassala
NERONE a pprenne ju sole ecco ce shtea ji[2]
BIA’ così te ne potei shta vicino a issa eh? (allude a Morgana)
GIGGINO fatti gli affari tuoi
JUCANE vicino a chi? A chi vicino? A chi vuoi metterti vicino? Cane rognoso
NERONE pure collerico, selvatico, lunatico, scontroso, ispido, arruffato. Rabbioso. Mordo, azzanno, mastico, ringhio. Quessa è la zona mia, il mio posto. Il territorio mio. Casa mia. Vojio fini’de magna’ ‘n pace. Che ridi, eh?
RINO si guardano male
TEA è una questione di principio.
GIGGINO no-o di territorio: chi va a bere per primo alla fontana, chi passa per primo…
BIA’ chi cammina nnanzi e chi cammina arrete
GIGGINO hanno pure litigato per chi doveva fare il bagno prima degli altri
RINO si guardano male…come si guardano male…
GIGGINO è l’istinto…A me me piace jire[3] a destra e a manca a cerca’ cose,…che m’importa chi entra o esce pè primo o pè secondo…a loro invece gli importa
JUCANE Nerone, non riconosci l’autorità costituita. Tutti non possono essere i primi della fila, o passare per primi dalle porte…
GIGGINO apposta le costruiscono strette ….perchè si passi uno alla volta…
JUCANE così si capisce subbito chi comanda…
(…)
[1] Quessa è zona mè: questa è la mia zona
[2] A pprenne ju sole ecco ce shtea ji: a prendere il sole qui c’ero io
[3] Jire: andare
Se cliccate qui, potete ascoltare la presentazione del mio testo e della rivista Animot curata da Gabi Scardi in cui il medesimo è inserito
a Parla con l’Armadillo, puntata del 9 dicembre 2020, Radiopopolare, Milano.